5 settembre 2008

Il Socialismo Italiano (wikipedia)

Le origini del movimento socialista in Italia

In Italia la crescita del movimento operaio si delinea sulla fine del XIX secolo. Le prime organizzazioni di lavoratori sono le società di mutuo soccorso e le cooperative di tradizione mazziniana e a fine solidaristico. La presenza in Italia di Bakunin dal 1864 al 1867 dà impulso all'anarchismo. L'episodio anarchico di propaganda più noto è quello del 1877 (un gruppo di anarchici tentò di far sollevare i contadini del Matese). La strategia insurrezionale fallisce mentre riscuote molto successo il partito Socialdemocratico nelle elezioni del 1877. I primi a sostenere la necessità di incanalare le energie rivoluzionarie in un'organizzazione partitica sono Bignami e Gnocchi-Viani con la rivista " La Plebe" al quale poi si affiancano le "Lettere aperte agli amici di Romagna", dove si denuncia il carattere settario del movimento anarchico e l'astensionismo elettorale. Nel 1881 Andrea Costa organizza il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che sosteneva, fra l'altro, le lotte dei lavoratori, l'agitazione per riforme economiche e politiche, la partecipazione alle elezioni amministrative e politiche. Il partito di Costa incontra grandi difficoltà anche se riesce ad essere eletto alla Camera come primo deputato socialista. Alle elezioni del 1882 si presenta il Partito Operaio Italiano ma senza successo. Frattanto il movimento operaio si organizza in forme più complesse: Federazioni di mestiere, Camere di lavoro, etc. Le Camere di Lavoro si trasformano in organizzazioni autonome e divengono il punto di aggregazione a livello cittadino di tutti i lavoratori.

Il Partito dalla nascita all'avvento della Repubblica

1892: fondazione del partito

Filippo Turati
Filippo Turati

Su queste basi nel 1892 nasce a Genova il Partito dei Lavoratori Italiani che fonde in sé l'esperienza del Partito Operaio Italiano nato nel 1882 a Milano, la Lega Socialista Milanese - d'ispirazione riformista, fondata nel 1889 per iniziativa di Turati - e molte leghe e movimenti italiani che si rifanno al socialismo di ispirazione marxista. Tra i promotori della formazione del PSI ci sono Filippo Turati, Claudio Treves, Leonida Bissolati, Ghisleri, Ferri, tutti provenienti dall'esperienza del Positivismo. Turati è erede del radicalismo democratico; nel 1885 si era unito con la rivoluzionaria Anna Kuliscioff; conosce le opere di Marx ed Engels, fu attratto dalla socialdemocrazia tedesca e dalle associazioni operaie lombarde. Turati considera il Socialismo non dal punto di vista insurrezionale, ma come un'ideale da calare nelle specifiche situazioni storiche. È nel 1893 che il Partito Socialista si dà un'autonomia e un nome ufficiale (Congresso di Reggio Emilia). Nell'ottobre del 1894 il partito venne sciolto per decreto a causa della repressione crispina. In contrapposizione alla repressione vi fu un'alleanza democratico-socialista alle elezioni del 1895.

1912: la scissione del PSRI di Bissolati

Il congresso straordinario, convocato a Reggio Emilia, inasprisce le divisioni che attraversano il Partito riguardo all'impresa di Libia. Trionfa la corrente massimalista di Benito Mussolini e si sancisce l'espulsione di una delle aree riformiste, capeggiata da Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati. Quest'ultimo, nel 1911 si era recato al Quirinale per le consultazioni susseguenti la crisi del Governo Luzzatti, causando il malcontento del resto del partito, compreso quello di Turati, esponente di spicco dell'altra corrente riformista. Bissolati e i suoi danno vita al Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI).

1914: la crisi dell'interventismo

Allo scoppio della Prima guerra mondiale il partito sviluppò un forte impegno per la neutralità dell'Italia, ma con forti spaccature al suo interno che troveranno un punto di mediazione nella formula "né aderire né sabotare" di Costantino Lazzari.

A partire dagli anni venti, con l'emergere del Partito Nazionale Fascista, le diverse anime del movimento socialista si mossero separatamente dando vita a tre differenti partiti.

La scissione dei comunisti (1921), quella riformista (1922) e la clandestinità

Nel 1921 si tiene a Livorno il XVII congresso del partito. Dopo giorni di dibattito serrato, i massimalisti unitari di Serrati raccolgono 89.028 voti, i comunisti puri 58.783, e i riformisti concentrazionisti 14.695. I comunisti di Bordiga e Gramsci escono dal congresso e fondano il Partito Comunista d'Italia, con lo scopo di aderire ai 14 punti dell'Internazionale. Lenin, infatti, aveva invitato il PSI a conformarsi ai dettami e ad espellere la corrente riformista di Turati, Treves e Prampolini, ricevendo il diniego da parte di Giacinto Menotti Serrati che non intendeva affatto rompere con alcune delle voci più autorevoli (sia pur minoritarie) del partito.

Nell'estate del 1922 Filippo Turati, senza rispettare la disciplina del partito, si reca da Vittorio Emanuele III per le rituali consultazioni per risolvere la crisi di governo. Tuttavia non fu possibile raggiungere un accordo con Giolitti, ed il re diede l'incarico a Facta. Per aver violato il divieto di collaborazione con i partiti borghesi, la corrente riformista viene espulsa, ad ottobre, nei giorni che precedono la Marcia su Roma di Benito Mussolini. Turati e i suoi danno vita al Partito Socialista Unitario, il cui segretario, Giacomo Matteotti, sarà rapito ed ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Tra il 1925 e il 1926 Mussolini vieta i partiti e costringe all'esilio o al confino i socialisti. È proprio durante l'esilio che, nel 1930, in Francia, avviene la riunificazione tra i riformisti di Turati ed i massimalisti, guidati dal giovane Pietro Nenni.

La rinascita (1943); tra la Resistenza e la Repubblica

Sandro Pertini
Sandro Pertini

Il 22 agosto 1943 nasce a Roma il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) che raggruppa una parte consistente di personalità influenti della sinistra italiana antifascista, come il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini, lo scrittore Ignazio Silone e l'intellettuale Lelio Basso. A diventare segretario del partito è il romagnolo Pietro Nenni.

Il PSIUP durante la Resistenza partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano, con una politica di unità d'azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista. Questa politica, osteggiata dalla destra del partito guidata da Giuseppe Saragat, è in buona parte legata alla preoccupazione che divisioni interne alla classe operaia possano favorire l'ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo.

In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, il PSIUP è uno dei partiti più impegnati sul fronte repubblicano, al punto da venire identificato come "il partito della Repubblica".

Dalla Costituente al centro-sinistra

La scissione socialdemocratica

Il 10 gennaio 1947 il PSIUP riprende la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI). Il cambio di nome avviene nel contesto della scissione della corrente socialdemocratica guidata da Giuseppe Saragat (scissione di palazzo Barberini), il quale darà vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), e marcherà una profonda distanza dai comunisti (ormai definitivamente agganciati allo stalinismo sovietico). Il PSI invece, proseguirà sulla strada delle intese con il PCI, e con quest'ultimo deciderà anche di fare un fronte comune, il Fronte Democratico Popolare, in vista delle elezioni dell'aprile 1948. Questa posizione "unitaria" dei due partiti della sinistra italiana, l'anno successivo farà però perdere la corrente della nuova destra del partito socialista, capeggiata da Giuseppe Romita, che nel dicembre 1949 si unirà a una parte dei socialisti democratici usciti dal PSLI -perché in polemica con il suo eccessivo "centrismo"- dando vita a un nuovo partito che prenderà il nome di Partito Socialista Unitario (PSU).

Nel maggio 1951 Il PSLI e il PSU si fonderanno nel Partito Socialista - Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista (PS-SIIS), che nel gennaio 1952 diventerà Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Dopo la sconfitta elettorale del 1948, la lista del Fronte Democratico Popolare non verrà più riproposta, ma il PSI resta alleato col PCI, all'opposizione, per ancora molti anni, ed insieme conducono la battaglia contro la c.d. legge truffa.

I primi governi di centro-sinistra: il "centro-sinistra organico"

Una svolta importante nella storia del PSI è costituita dal Congresso di Venezia del 1957, quando, in seguito anche all'invasione sovietica dell'Ungheria, che porta ad una rottura col PCI, il partito comincia a guardare favorevolmente all'alleanza con i moderati della Democrazia Cristiana: si rafforza il nesso socialismo-democrazia e il PSI abbandona i legami con il blocco sovietico.

Il PSI condurrà comunque una forte battaglia al fianco del PCI contro il Governo Tambroni

Nel 1963 il PSI entra definitivamente al Governo, con l'esecutivo guidato da Aldo Moro. Con questo, però, il Partito viene segnato da una nuova spaccatura: la corrente di sinistra esce dal partito e nel gennaio del 1964 dà vita a un nuovo Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP).

La breve esperienza del PSI-PSDI Unificati

Il 30 ottobre 1966 il PSI e il PSDI, dopo alcuni anni di comune presenza all'interno dei governi di centro-sinistra, si riunificano nel PSI-PSDI Unificati.

Ma l'unità dura meno di due anni. La componente socialista del PSI-PSDI Unificati il 28 ottobre 1968 riprenderà la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI), mentre la componente socialdemocratica nel luglio 1969 prenderà il nome di Partito Socialista Unitario (PSU), che nel febbraio 1971 ridiventerà Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Tutti questi passaggi e queste scissioni danno un'idea del travaglio politico del PSI di quegli anni, periodo nel quale convivono nel Partito due anime: una tendente a una maggiore coesione con il PCI su ideali che si ispirano a Karl Marx e un'altra tendente a perseguire una politica di riforme progressive che non mettano in discussione l'assetto sostanziale del sistema. All'epoca tra le file socialiste la posizione generalmente maggioritaria era quella della sinistra, tendente ad intensificare i legami con i comunisti, mentre i cosiddetti "autonomisti", sostenitori delle riforme progressive (e quindi più vicini ad un'idea di tipo socialdemocratico), si trovavano in minoranza.

Da Craxi alla fine del PSI

La segreteria di Bettino Craxi

Bettino Craxi
Bettino Craxi

Nel marzo 1976 si tenne il XL congresso del Psi. Le correnti erano cinque:

La maggioranza venne costituita da un'alleanza fra De Martino e Mancini e prevedeva il primo segretario.

Sotto la guida di Francesco De Martino, il PSI ritira l'appoggio ai governi della DC, con l'obiettivo di supportare la crescita elettorale del PCI al fine di arrivare ad un esecutivo guidato dalle sinistre. De Martino scrisse che il PSI aveva una funzione politica a termine: permettere la completa maturazione del PCI fino alla sua partecipazione diretta al governo. Una volta raggiunta tale maturazione, di fatto, il Psi avrebbe esaurito le proprie funzioni. Alle elezioni politiche del 1976 il partito socialista ottiene gli stessi risultati elettorali del 1972, il punto più basso di sempre mai raggiunto dal PSI, con un'imprevista flessione negativa rispetto al precedente turno di elezioni amministrative. Lo squilibro elettorale col PCI sfiora il 25%.

In questo contesto il PSI ritira nel comitato centrale del luglio 1976 la fiducia a De Martino, eleggendo segretario nazionale il quarantenne Bettino Craxi, in quel momento vicesegretario e membro di punta della corrente autonomista di Pietro Nenni. Nuovo vicesegretario sarà il dirigente siciliano Salvatore Lauricella.

Nel 1978 si tiene il XLI congresso che vede riconfermato Craxi alla segreteria col 65% di voti (cifra mai raggiunta da un segretario socialista) grazie a un'alleanza con Claudio Signorile e alla "benedizione" dell'ex segretario Giacomo Mancini. L'opposizione è guidata da Enrico Manca. Il partito si rinnova nell'immagine e nell'ideologia: nuovo simbolo del partito diventa (accanto alla tradizionale falce e martello) il garofano rosso in omaggio alla portoghese Rivoluzione dei garofani del 1974, mentre, con un lungo articolo sull'espresso, titolato "Il Vangelo Socialista" (agosto 1978), si sancisce la svolta ideologica, con lo smarcamento dal marxismo, appannaggio di un percorso culturale distinto da quello del PCI e che prende le mosse da Proudhon evolvendosi col socialismo liberale di Carlo Rosselli.

L'abbandono del marxismo era stato già effettuato dalla SPD tedesca, durante il drammatico congresso di Bad Godesberg del 1959. La stessa trasformazione avviene in seno agli altri partiti socialisti europei. Nello stesso anno, Lauricella è promosso presidente del PSI.

Nel 1980 si inaugura la stagione del "Pentapartito", costituito dal PSI insieme a DC, PSDI, PLI e PRI, formalizzato con guida socialista nel 1983 (Governo Craxi I e II) e con guida democristiana nel 1988.

Nel 1985 il PSI di Bettino Craxi rimuove la falce e il martello dal proprio simbolo per rimarcare la sua intenzione di costruire una sinistra alternativa e profondamente riformista guidata dal PSI e non più egemonizzata dal PCI.

L'elettorato premia questa scelta: la percentuale di consensi infatti sale dal 9,8% ottenuto nel 1979 al 14,3% nel 1987. Il PSI però è ancora ben lontano dal rappresentare una guida alternativa al PCI, il quale ottiene il 26,6% dei voti nel 1987.

Con la caduta del muro di Berlino avvenuta nel 1989, reputando imminente una conseguente crisi del Partito Comunista Italiano, Craxi inaugura l'idea della "Unita Socialista" da costruire insieme con il fidato Psdi e nella quale coinvolgere anche ciò che nascerà dalle ceneri del PCI. Craxi dimostrerà così una certa lungimiranza: come previsto infatti il PCI viene sciolto e gli ex comunisti confluiranno nel più moderato e riformista PDS, anche primi riscontri elettorali da parte del PSI paiono incoraggianti, poiché alle elezioni regionali del 1990 i socialisti si portano al 18% come media nazionale.

1992: la crisi del partito

Nel partito scoppia la crisi nel 1992 in seguito allo scandalo di Tangentopoli, sollevato dalla magistratura con l'inchiesta "Mani Pulite", che colpisce prevalentemente Bettino Craxi ma mette in crisi tutti i partiti della cosiddetta Prima Repubblica. Il partito cambia rapidamente molti segretari fino al definitivo sfaldamento in tante parti.

Alle elezioni dell'aprile 1992, il PSI raccoglie il 13,5% dei consensi (perdendo l'1% rispetto alle elezioni politiche precedenti, ma il 4,5% rispetto alle elezioni regionali del 1990) ed elegge 92 deputati e 49 senatori. Il Capo dello Stato Scalfaro chiede a Craxi una terna di candidati all'incarico di Presidente del Consiglio, e ne riceve l'indicazione "Amato, De Michelis, Martelli, in ordine rigorosamente alfabetico". La presidenza del Consiglio sarà così affidata al socialista Giuliano Amato, ma il suo governo durerà meno di un anno, indebolito dalle critiche al finanziamento pubblico dei partiti, e soprattutto dalla sconfitta dei partiti di governo ai referendum del 18 e 19 aprile 1993.

Nel maggio 1992 arrivano i primi avvisi di garanzia a molti parlamentari tra cui spiccano i nomi dei due ex-sindaci di Milano, Paolo Pillitteri e Carlo Tognoli. A novembre del 1992 l'on. Sergio Moroni e l'amministratore del PSI Vincenzo Balzamo ricevono avvisi di garanzia per ricettazione, corruzione e violazione della legge sui finanziamenti ai partiti. Quello stesso mese Claudio Martelli prende definitivamente le distanze da Craxi fondando il gruppo interno di Rinnovamento Socialista.

Il 26 novembre 1992 l'Assemblea Nazionale del Psi si spacca per la prima volta dopo 11 anni di sostanziale unanimismo craxiano. Vengono presentati tre documenti da parte di Giuseppe La Ganga (pro Craxi), Mauro Del Bue (pro Martelli) e Valdo Spini. Al primo vanno 309 voti (63%), al secondo 160 (33%) e a Spini 20 (4%). Craxi resta ancora saldamente alla guida del partito, ma per la prima volta con una maggioranza più ristretta per via della defezione del gruppo di Martelli.

Bettino Craxi riceve il primo suo avviso di garanzia nel dicembre del 1992, alla vigilia delle elezioni amministrative dalle quali il PSI uscirà decimato: molti voti passano alla Lega Nord e al Movimento Sociale Italiano, unici partiti non pesantemente coinvolti in Tangentopoli.

Il 26 gennaio 1993 i "quarantenni" del partito organizzati da poco come Alleanza Riformista promuovono la manifestazione nazionale Uscire dalla crisi. Costruire il futuro. Ad aprire la manifestazione è il Presidente della Regione Emilia Romagna Enrico Boselli.

Il 31 gennaio sarà il gruppo che a novembre aveva votato la mozione Spini a promuovere l'assemblea aperta Il rinnovamento del Psi.

Craxi si dimette da segretario del PSI l'11 febbraio 1993; dopo rivelazioni sul "conto protezione" che coinvolgevano - insieme a Craxi - il suo ex delfino Claudio Martelli nell'accusa di bancarotta fraudolenta.

Lo stesso Martelli in quel momento era in lizza per succedere come segretario a Craxi, ma la notizia dell'avviso di garanzia lo spinge a dimettersi dal governo e dal Psi.

Resta dunque Giorgio Benvenuto che verrà eletto segretario all'Assemblea Nazionale del 12 febbraio insieme a Gino Giugni come presidente, ma dopo appena 100 giorni è costretto alle dimissioni per il continuo ostruzionismo degli ultimi craxiani al progetto di rinnovamento del partito che portava avanti Benvenuto. Anche Giugni si dimette, ma sarà riconfermato nel suo ruolo.

Durante la sua segreteria, Benvenuto aveva ottenuto il 4 maggio dall'esecutivo del Psi che gli inquisiti fossero sospesi da ogni attività di partito.

Il 28 maggio l'Assemblea nazionale elegge Ottaviano Del Turco nuovo segretario nazionale. Il gruppo di Spini presenta un documento alternativo.

Il giorno dopo nasce il gruppo di Rinascita Socialista guidato da Benvenuto e Enzo Mattina, che via via si defilerà dal Psi.

Alle elezioni amministrative del 6 giugno 1993 il PSI ne escerà decimato. A Milano, vecchia roccaforte del craxismo il PSI che candida il sindaco uscente Borghini riceve un catastrofico 2,2%!. Nelle altre grandi città la situazione non e migliore. A Torino, dove il PSI e in alleanza con il PSDI raccoglie l'1,8%. A Catania dove la DC faticosamente tiene il PSI non si presenta nemmeno. Questi elezioni, per quanto limitate ad campione non rappresentativo di tutto l'elettorato italiano, indicano però l'imminente collaso del Partito Socialista. Grazie al voto del sud comunque il PSI e al 5% su base nazionale. Ma al nord, il PSI e svanito schicciato da una Lega rompente e un PDS in crescita.

Ottaviano Del Turco sconfessa la posizione difensiva di Craxi, rifiutando di raccogliere la sua indicazione di alcuni conti bancari esteri[1]; per salvare il partito promette di non candidare tutti gli esponenti accusati di corruzione.

Il 16 dicembre si tiene l'ultima Assemblea Nazionale dove Craxi prenderà la parola e dove i craxiani tentano di riprendere il controllo del partito. All'ordine del giorno c'è la proposta di cambiamento del nome e del simbolo (da Psi a Ps e dal garofano alla rosa). L'intervento di Craxi è in difesa di tutti i socialisti nella sua stessa condizione di indagato o rinviato a giudizio e contro il gruppo dirigente che vuole portare avanti il rinnovamento e l'ancoramento definitivo a sinistra del partito. Il Psi si schiera con Del Turco con 156 voti contro i 116 pro Craxi.

Ormai il Psi e allo sbando. Nell'agosto 93 il Psi per cause di morosità deve lasciare la sede storica di Via del Corso, simbolo del potere craxiano. Ormai il palazzone viene defenito Palazzo delle Mazzette. Il Garofano già nel mirino delle inchieste giudiziare deve anche affrontare un deficit pari a 70 miliardi e un galassia di debiti circa pari a 240 miliardi. La crisi finanziara spinge il PSI a liquidare le rivesti storiche di MondOperaio e Critica Sociale. Anche il quotidiano l'Avanti! chiude i battenti. Infatti la direzione nazionale del partito si trasferisce nei locali di Via Tomasseli a Roma, ex-sede dell'Avanti.

Molti craxiani però non condividono le scelte di Del Turco. Con la sostituzione del Garofano con la rosa nel nuovo simbolo del PSI molti dichiarano di lasciare il partito. Ugo Intini e altri craxiani (Boniver, Piro) il 28 gennaio 1994 danno vita alla Federazione dei Socialisti che farà liste uniche col Psdi alle elezioni politiche del marzo successivo e che il 18 dicembre diventerà Movimento Liberal Socialista, dopo una prima «convention» per la costituzione del movimento (15 maggio 1994) e il lancio del quindicinale Non mollare (16 giugno 1994). Ciò che resta dei gruppo parlamentari viene diviso tra quelli pro-Del Turco e pro-Craxi. Il PSI, chè per molti anni poteva vantarsi di una centralità nello scenario politico e una unità attorno al suo leader storico, viene visto come un partito ormai alla fine della sua storia sia politica che culturale.

In occasione delle Elezioni politiche del 1994 ciò che resta del PSI si allea con il PDS nell'Alleanza dei Progressisti, che però perde le elezioni. Si spera di passare il 4% di sbarramentoIl nuovo Psi di Del Turco raccoglie il 2,5% dei consensi (pari a circa 800.000 voti). I socialisti riescono così ad eleggere (nei collegi uninominali) 14 deputati contro i 92 eletti nel 1992. Del Turco rassegna le dimissioni e viene sostituito da Valdo Spini come coordinatore nazionale. Alle Elezioni europee del 1994, in lista comune con Alleanza Democratica, raccoglie l'1,8%.

La diaspora socialista

Schiacciato dall'offensiva giudiziaria e da una feroce campagna giornalistica, e dopo una temporanea alleanza con AD, il PSI si scioglie definitivamente con un congresso il 13 novembre 1994 presso la Fiera di Roma. Da quel giorno ha inizio "ufficialmente" la diaspora socialista in Italia, che in pratica era già iniziata nel 1993.

Lo stesso 13 novembre 1994, subito dopo lo scioglimento, nascono diverse formazioni socialiste distinte: